La malinconia blu di Maria Chiara di Francesca Brandes – 19 Set 2021 (© 2021 éNordEst)
L’idea viene alla forma quando preserva una memoria, quando è corso del mondo. Prevede un’attesa, un travaglio. Per Maria Chiara Mignani sono stati i mesi del lockdown, trascorsi osservando il mare dalle finestre della sua casa al Lido. Lei, solida costruttrice di vedute, di nature morte, di morandiane bottiglie iterate con amore per il Maestro conterraneo; lei, lucida e razionale, si è lasciata prendere dalla corrente, dal tempo dell’Aperto. La sua mostra Feeling Blue all’Imagoars, nel Ghetto veneziano è un’origine: questi ultimi lavori, dodici tecniche miste che utilizzano strappi di carta, ritagli di giornale, fotografie e pittura ad olio, mantengono il gradiente termico dell’inverno e una tensione sorgiva. Come scriveva Rilke, sono solitudine e destinazione. Custodiscono una speranza, anzi, la nominano.
Così sconfinatamente blu
Così apparentemente semplici, in realtà di tecnica complessa, sovrapposizione di saperi maturati, al limite tra un figurativo sognante e l’assoluta esplosione della tinta che si fa materia: il mare e la risacca, in ogni loro declinazione; edifici come montagne, boschi di betulle in cui s’intravvedono volti, profili in meditazione, racconti. Feeling Blue narra del desiderio volitivo che ricerca armonia e gioia nell’oscurità, di un sorriso nonostante, di un auspicio. Come se l’artista seminasse stelle.
Maria Chiara
«Il confinamento mi ha fatto riflettere sulla relazione tra sogno e realtà – ha commentato Maria Chiara – e ho utilizzato la mia immaginazione per esprimere emozioni intime e segrete, attraverso il blu e le sue sfumature … L’espressione “feeling blue”, in inglese, è associata a sentimenti di malinconia, tristezza e depressione. Invece, per me, il blu è il colore che meglio rappresenta la calma, il perfetto equilibrio tra cielo e mare, l’impareggiabile armonia dell’infinito che ci sovrasta, il luogo in cui riusciamo a intravvedere l’essenza del nostro io».
Maria Chiara e il suo blu
Ogni pratica artistica degna di essere definita tale, si potrebbe aggiungere, è portatrice di un sapere su se stessa, a volte oscuro, a volte di un’intelligenza esatta, come per Maria Chiara Mignani. È ciò che Hölderlin chiamava rapporto vivente con le cose, il linguaggio e il mondo. Una via splendida e rischiosa allo stesso tempo: prevede di mantenere insieme l’esigenza dell’iperbole, il contenuto ideale e la necessaria limitatezza della materia. Questo può avvenire solo in cammino, dove non c’è antagonismo tra elementi eterogenei, tra spirito e materia poetica, idealità e realizzazione.
Maria Chiara e le sue precise idee
Al di là del loro essere esteticamente pregevoli, le opere di Maria Chiara Mignani vanno in questa direzione. Ci narrano di volontà precise; talora si spingono nell’analisi del mito, ma hanno forse il loro punto di forza nella rivelazione positiva di un reale che esiste, ci meraviglia e ci seduce. Per l’artista, bolognese di origine, ma ormai veneziana, l’espressione è già ragione sufficiente per dipingere; diretta, esplicita, con idee molto chiare, Mignani non è certo una neofita nel panorama artistico. Eppure, questo ciclo ha tutto il sapore di una nascita.
Quando il pubblico può solo ammirare
Il suo operare non ha bisogno di null’altro se non della visione, pura, da parte di un pubblico possibilmente ingenuo, senza sovrastrutture o eccessive interpretazioni. Semplice splendore, in un moto di calma assoluta e, insieme, di profondità cognitiva. Una profondità leggera e minerale, quasi scia di stelle.